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Court (Crave, #4)(3)

Author:Tracy Wolff

E quando, alla fine, mi arrenderò al mio destino, ho paura che ci distruggerà tutti.

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QUALCHE VOLTA DUE RAGIONI FANNO UN TORTO ENORME

VORREI essere da qualunque altra parte, ma non qui.

Da qualunque altra parte, ma non ferma qui, nel bel mezzo di questa stanza troppo fredda, che puzza di dolore e sofferenza e di un’abbondante dose di disinfettante. Rivolgo a Hudson un rapido sorriso prima di voltarmi ad affrontare il resto del gruppo.

?Da dove si comincia?? La voce di Macy è sommessa, però la domanda di mia cugina riecheggia nell’infermeria devastata, rimbalzando come un colpo di pistola tra le pareti vuote e i letti rotti.

è la domanda da un milione di dollari, la domanda da un miliardo di dollari. E, in questo momento, davanti a lei e ai nostri amici, non ho la minima idea di come rispondere.

A mia discolpa, posso dire che sono sotto shock da quando siamo tornati alla Katmere e l’abbiamo trovata a soqquadro, con le pareti imbrattate di sangue, le stanze sottosopra e deserte… tutti gli allievi e i professori, nessuno escluso, scomparsi! E ora vengo a scoprire che non è stato possibile salvare la gamba di Flint? Sono a pezzi e, vedendolo sforzarsi tanto per sembrare forte, peggiora infinitamente le cose.

Adesso, un’ora dopo, uscita dalla doccia sarò anche più pulita, ma la distruzione che ho intorno mi fa girare la testa.

E, peggio ancora, passo in rassegna le facce dei miei amici – Jaxon, Flint, Rafael, Liam, Byron, Mekhi, Eden, Macy, Hudson – ed è chiaro che sono sconvolti quanto me.

Sembra che, al pari mio, nessuno di loro abbia idea di che cosa succederà adesso. Ma, del resto, sarebbe impossibile saperlo in un momento come questo, quando il mondo come lo conosciamo noi sta finendo e lo vediamo sbriciolarsi mattone dopo mattone. In un momento in cui in ogni muro che abbiamo puntellato si apre una falla e tutto ci crolla addosso.

Non è la prima volta che subiamo perdite negli ultimi mesi, ma è la prima volta dalla morte dei miei genitori che la situazione mi sembra davvero disperata. Anche quando ero da sola sul campo dei Ludares, ero certa che sarebbe andato tutto bene… se non per me, perlomeno per le persone che amo. O mentre lottavo contro i giganti insieme a Hudson: ho sempre saputo che lui sarebbe sopravvissuto. E quando eravamo sull’isola della Bestia Invincibile, a combattere contro il re dei vampiri e le sue truppe, sentivo comunque che avevamo una possibilità. Sentivo che in un modo o nell’altro avremmo trovato il sistema per sconfiggere Cyrus e i suoi orribili alleati.

E, alla fine, quando è scappato, credevamo di avercela fatta.

Credevamo di avere vinto perlomeno la battaglia, se non la guerra.

Credevamo che fosse valsa la pena fare quei tanti, tantissimi sacrifici.

Finché non siamo tornati qui, alla Katmere, e ci siamo resi conto che quella che avevamo combattuto non era stata una guerra, e neppure una battaglia. No, quello che per noi era stato uno scontro all’ultimo sangue e che ci aveva messo in ginocchio e fatto sprofondare in un abisso di disperazione, in realtà era stato poco più di un gioco per tenere occupati i bambini mentre i grandi pensavano a vincere la guerra vera.

Mi sento una sciocca… e una fallita perché, pur sapendo che di Cyrus non ci si può fidare e che ha parecchi assi nella manica, ci siamo fatti abbindolare. Peggio ancora, alcuni di noi sono addirittura morti.

Luca è morto, e adesso Flint ha perso la gamba.

A giudicare dalle espressioni sulle facce dei presenti in infermeria non sono la sola a sentirmi così. Su di noi è sospesa una cappa opprimente fatta di rabbia e dolore. Così opprimente che non c’è quasi spazio per altri sentimenti, né per altri pensieri.

Marise, l’infermiera della scuola e unica sopravvissuta rimasta alla Katmere, riposa in uno dei letti, con lividi e tagli ancora visibili sulle braccia e sulla guancia, a riprova di quanto deve avere lottato, se il suo metabolismo di vampiro non è ancora riuscito a sanare le ferite. Macy le porta una bottiglietta di sangue presa dal frigorifero e lei ringrazia con un cenno del capo prima di bere. è evidente che aiutare lo specialista con Flint le ha tolto le ultime energie che le rimanevano.

Scocco un’occhiata a Flint, seduto sul letto nell’angolo con il moncherino della gamba sollevato, il dolore scolpito sulla faccia solitamente sorridente. Mi si stringe lo stomaco: sembra così piccolo, con le spalle curve per il dolore, che devo fare uno sforzo per ingoiare la bile che mi sale in gola. L’unica cosa che mi sostiene in questo momento è la pura forza di volontà. Quella e Hudson, che mi cinge la vita con un braccio, come se sapesse che senza il suo sostegno, crollerei. La sua presa, il suo evidente tentativo di confortarmi dovrebbero rassicurarmi, e lo farebbero anche, se non stesse tremando quanto me.

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