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Court (Crave, #4)(11)

Author:Tracy Wolff

Preoccupato, Grace. Tanto preoccupato.

La voce del gargoyle più anziano mi penetra nella mente, si insinua tra le immagini che ancora mi scorrono nel cervello. Mi faccio strada a fatica nella coscienza, ma ogni secondo che passa mi trascina sempre più in fondo, come se fossi intrappolata nelle sabbie mobili.

Non c’è tempo, non c’è tempo. La sua voce, più frenetica che mai, si fa largo nella nebbia. E poi, con maggior chiarezza di qualsiasi altra volta mi abbia parlato, come se si concentrasse su ogni parola: Svegliati, Grace! Il tempo stringe!

6

SNAP, CRAC E POP-TARTS

L’AUTORITà nella sua voce mi fa balzare a sedere sul letto.

Ho il cuore in gola, il sangue che mi ruggisce nelle orecchie, come se mi fossi svegliata nel bel mezzo di un attacco di panico con i fiocchi. Invece sono perfettamente lucida e l’adrenalina che mi scorre in corpo è scatenata dal senso di urgenza, non dalla paura.

Guardo Hudson, ma per una volta dorme davvero. Il respiro è regolare, i leggeri lividi sulla guancia sono un ricordo vivido di tutto quello che ha passato negli ultimi giorni. La maggior parte dei segni riportati nei combattimenti in prigione è già sbiadita, ma ci vorrà ben più che un po’ di sangue per cancellargli la stanchezza dal viso. Allungo una mano e gli passo dolcemente un dito tremante sulla guancia. I suoi occhi fremono per un momento e temo di averlo svegliato, però poi si gira dall’altra parte con un sospiro e riprende a dormire.

Peccato che io non riuscirò a fare altrettanto.

Una rapida occhiata al telefonino mi dice che ho dormito poco più di sette ore, il che significa che me ne restano un paio prima che faccia mattina. Quando mi alzo, il sole sta facendo capolino dalla vetta del Denali. Siamo nel cuore della notte, ma in primavera, in Alaska, l’alba sorge alle quattro.

Il cielo è tinto di rosso e viola e dalle finestre della stanza di Hudson si vedono le montagne. Uno spettacolo magnifico, ma l’ombra di quello che sembra essere un temporale in arrivo è tremendamente minacciosa. Come se il cielo sanguinasse sui monti, ricoprendo tutto il mondo di sangue, rimorso e paura.

Ma potrei benissimo essere io che proietto le mie emozioni. Lo sa il cielo se in questo momento mi sembra che tutto il mio mondo grondi sangue.

Penso di tornarmene a letto, per cercare di dormire un altro po’, ma ormai ho perso il treno. E dal momento che non ho nessuna voglia di rimettermi i vestiti sporchi, prima che ce ne andiamo devo tornare in camera a prendere un cambio.

Salgo le scale che portano all’atrio devastato della Katmere con lo stomaco che sfarfalla al ricordo della prima volta che ho varcato il portone della scuola, di quando camminavo per questi corridoi perché la mia vita era cambiata all’improvviso e non riuscivo a dormire.

Mi sembra di essere sull’orlo di un altro precipizio, un precipizio che si sgretola un po’ di più a ogni passo. Da quella prima notte sono cambiate così tante cose – il mio gargoyle, Hudson, Jaxon, persino la stessa Katmere – eppure ho l’impressione che alcune non siano cambiate affatto.

Per esempio, la possibilità che saltino fuori un paio di lupi assassini pronti a buttarmi fuori in mezzo alla neve non è poi così remota.

Ripeto a me stessa di non essere ridicola – è improbabile che Cyrus ci metta alle calcagna i lupi, ora che ha in mano gli studenti –, ma nonostante ciò vado in camera mia facendo i gradini a due a due. Se in un modo o nell’altro il nemico ci attaccherà, perlomeno voglio affrontarlo con i pantaloni indosso.

Quando arrivo nella nostra stanza, Macy sta dormendo, perciò cerco di fare meno rumore possibile. Accendo la torcia del cellulare, maledicendo una volta di più il fatto che, gargoyle o no, non ho la vista dei lupi e dei vampiri e al buio non ci vedo.

Punto la luce verso il pavimento, per non inciampare e finire addosso a mia cugina, e vado al mio armadio.

Prendo lo zaino nero della Katmere e ci infilo dentro un paio di cose che mi occorreranno se voglio trasferirmi nella camera di Hudson. Un paio di jeans e una t-shirt di ricambio, biancheria intima, il beauty-case, una manciata di elastici per capelli e – sorpresa! – una confezione di Pop-Tarts alla ciliegia. Una cosa ho imparato negli ultimi sette mesi trascorsi con i vampiri: se voglio essere certa di non morire di fame, è meglio che mi porti dietro qualcosa da mangiare.

Dopo aver messo tutto nello zaino, mi infilo una felpa, poi mi siedo a terra e mi metto i calzini e il mio paio di scarponi preferiti. Mi rialzo e do un’ultima occhiata in giro per la stanza per assicurarmi di non aver dimenticato niente di importante. Mi vengono in mente due cose che non vorrei mai lasciare indietro. Pian piano mi avvicino al cofanetto portagioielli sulla mia toeletta, lo apro e prendo il diamante che mi ha regalato Hudson e la collana di Jaxon. Infilo i due gioielli nella tasca davanti dello zaino insieme al tubetto di burrocacao rosa che mi ha regalato Macy e, in punta di piedi, mi avvio alla porta.

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