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Court (Crave, #4)(203)

Author:Tracy Wolff

?Tuo zio è preside di una scuola…?

?Zio Finn? Ma se non lo vedo da anni. E lui vive in Alaska.? Scoppio in una risata perplessa. ?Non posso credere che volete mandarmi in Alaska. Non se ne parla!?

?Non è così semplice, Grace?, dice mia madre.

?Sì, be’, secondo me invece sì. E io non ci vado. Non potete costringermi.?

?Non è il caso di discuterne adesso, Grace?, interviene papà. ?Devi finire i compiti e noi dobbiamo rifletterci sopra. Anzi…?

Si interrompe quando Heather suona il clacson in fondo al vialetto: di sicuro ho scordato qualcosa sulla sua auto.

?Io non me ne vado?, ribadisco furibonda. ?Dite pure quello che volete, ma non esiste che mi spediate in Alaska. Manco morta!?

?Prenditi un po’ di tempo per rifletterci?, mi consiglia la mamma. ?Ne riparleremo a cena, e magari quando avrai sentito quello che abbiamo da dirti, cambierai idea…?

?A cena non ci sono. Vado da Heather?, ribatto. ?Cioè, non voglio imporvi la mia presenza, dato che è evidente che non mi volete.?

Mi sbatto la porta alle spalle e filo dritta alla macchina di Heather. Solo che l’auto sparisce e adesso mi trovo all’obitorio. Un assistente del medico legale mi sta dicendo che gli dispiace tanto, ma che io sono l’unica a poter identificare i loro corpi. Prima che abbia il tempo di cogliere il significato delle sue parole, mi fa entrare in una stanza freddissima: un lenzuolo copre una forma immobile al centro.

?No! No, no, no, no, no.? La stanza si chiude su di me, risucchiando tutta l’aria, e questa parola diventa il mio mantra, la mia preghiera.

Appena il medico legale comincia ad abbassare il lenzuolo, mi cedono le ginocchia e finisco a terra. Ed eccola lì. Mia madre. La mia bellissima mamma, così piena di vita.

Dolore e panico mi esplodono dentro e devo fare uno sforzo per tornare a respirare. Una piccolissima parte del mio cervello mi ordina di riflettere, di provare a capire, però mi è impossibile perché vengo travolta dalla vergogna, dal rimorso e dal terrore. Tutti i miei sentimenti e le mie emozioni sono concentrati sul cadavere di mia madre… e sul fatto che accanto a lei c’è un altro corpo, ugualmente coperto da un lenzuolo.

?è lei?, riesco a dire con voce strozzata, il naso che brucia per l’odore di disinfettante.

Il medico legale annuisce e passa al secondo tavolo. Devo fare uno sforzo immane per non mettermi a urlare, perché sotto quel lenzuolo c’è mio padre e…

A un tratto si alza a sedere, e il lenzuolo gli scivola dalla faccia ferita e sporca di sangue. E poi allunga una mano verso di me. ?Sei stata tu a fare questo, Grace?, dice a dispetto della mascella rotta. ?Tu ci hai fatto questo…?

Il dolore è travolgente. Devastante. Opprimente, talmente opprimente che devo impormi di respirare.

All’improvviso capisco che tutto questo assomiglia molto all’esperienza che hanno vissuto Hudson e Flint in prigione pochi giorni fa. Il che vuol dire che non è reale. è artificiale. E se non la sto vivendo davvero…

?Brutta stronza!? esclamo, girandomi di scatto per affrontare Isadora. ?è colpa tua. Sei tu che mi stai facendo questo.? Non riesco a credere di avere impiegato tanto a capirlo: è stata la Megera a progettare quell’orrenda prigione, perciò è ovvio che sua figlia abbia un potere simile.

?Hai ragione, sono stata io?, risponde con un sorriso affilato quanto un bisturi. ?E continuerò così finché tu non farai l’unica cosa che possa fermarmi.?

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SCEGLI LE TUE ALLUCINAZIONI

IZZY fa spallucce. ?Forse non sono in grado di congelare il tempo come fai tu, ma ho scoperto alla Corte dei gargoyle che posso fare qualcosa di meglio. Posso creare illusioni che ti fanno credere che il tempo sia congelato, come se tu fossi bloccata nel momento peggiore della tua vita e non potessi uscirne, qualunque cosa tu faccia.?

?Solo tu puoi pensare che sia una bella cosa?, ribatto con asprezza.

Lei si limita a sorridere e schiocca le dita. Pochi istanti dopo mi rivedo rientrare a casa da scuola mentre mia madre tira fuori delle verdure dal frigo.

Non un’altra volta. Ti prego, no. Ma non sono così ingenua da chiederle di smettere: non intendo darle altre munizioni da usare contro di me.

Però lei non ha bisogno che la supplichi per sapere che la sua ultima arma è efficace. è evidente dalla mia espressione inorridita, mentre fisso i miei genitori che discutono di nuovo della mia partenza. Soltanto che questa volta la scena è ancora più dettagliata, con mio padre che insiste nel dire che sa che cos’è meglio per me e mia madre che cerca di controbattere mentre mi prepara una tazza di quella stupida tisana.