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Court (Crave, #4)(62)

Author:Tracy Wolff

Mi lavo i denti e poi apro la doccia sforzandomi di ignorare la canzone che viene dall’altra stanza: One Step Closer dei Linkin Park. è soltanto una selezione casuale da una playlist, oppure, inconsciamente, Hudson l’ha scelta perché rispecchia i suoi sentimenti? Quanto è vicino al punto di rottura, esattamente?

è un pensiero orribile che nasce da una situazione orribile, e passo mezz’ora a rimuginare sul macello in cui mi trovo mentre mi faccio la doccia e mi vesto. Sono le dieci passate, il che significa che in Alaska è notte. Magari per me non è il momento migliore per fare una capatina dalla Dissanguatrice, ma lo è per Hudson, dato che mancano ancora tre ore all’alba e lui non può ancora esporsi alla luce del sole. Perciò non ho tempo da perdere, devo farlo e basta.

Però ritengo che prima di andare là a implorare risposte – e il solo pensiero mi manda in bestia – dovremmo perlomeno tentare di assicurarci che Hudson abbia ragione. Perciò, dopo essermi infilata la felpa, mi appoggio alla specchiera del bagno e chiudo gli occhi. Poi faccio un bel respiro e mi impongo di guardare – di guardare davvero – tutti i fili dentro di me. Il che, per quanto possa sembrare strano, non significa guardare con gli occhi.

Cioè, è più facile descrivere il modo in cui vedo i miei fili come se guardassi qualcosa, ma in realtà non uso gli occhi per vederli. Penso a loro e così riesco a visualizzarli nella mente, come succede quando voglio rivedere il mio orsetto di pezza di quando ero piccola, Rascal, oppure il sorriso di mia madre. Perciò guardo i fili dentro di me: ci sono tutti, come sempre.

Il filo, di un bel blu acceso, del legame con Hudson. Quello ormai completamente nero che mi lega a Jaxon. Il filo color platino del mio gargoyle. Quello rosa shocking di Macy. Quello ceruleo che è mia madre e quello color ruggine che è mio padre. Rabbrividisco nel constatare quanto questi legami siano diventati labili. è normale, suppongo, considerato che ormai sono morti da mesi. Però vederli scomparire un po’ alla volta mi fa comunque più male di quanto voglia ammettere.

Li passo in rassegna tutti, uno per uno, lasciando quello verde per ultimo perché non voglio affrontarlo. E, se devo essere sincera, anche perché mi fa un po’ paura.

Soprattutto dal momento che brilla più di tutti gli altri, fatta eccezione per quello del mio legame con Hudson. Non so che cosa significhi, e non sono sicura di volerlo sapere. L’ultima cosa che desidero è scoprire che sono anche la compagna di una vecchia vendicativa che vive in una grotta.

Però ho imparato che ignorare i miei problemi non significa farli sparire, perciò prendo un bel respiro e, senza ulteriori indugi, per la prima volta in vita mia afferro con decisione il filo verde.

E non sono neanche lontanamente preparata a quello che succede dopo. Pensavo che magari mi sarei trasformata in pietra, che magari l’orologio del mio cellulare avrebbe rallentato. O, che ne so, che addirittura mi sarei trasformata in un gargoyle di sei metri.

Una qualsiasi di queste cose sarebbe stata meglio di questo, di quest’anarchia.

36

ACCENDI UN DIAVOLO DINAMITARDO IN ME

SONO attraversata da una scossa elettrica, tanto veloce da togliermi il fiato. E poi la sento attorcigliarsi dentro di me, come un cobra pronto a colpire. Sempre più potente, ruota, si gira, occupa ogni cellula del mio corpo finché non ha più posto dove andare. Il tatuaggio che immagazzina magia sul mio braccio si riempie all’istante, eppure c’è altro potere che mi percorre le vene, che mi urla di farlo uscire. Di permettergli di raggiungere il suo scopo: distruggere ogni cosa sul suo cammino.

E io non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Di questa cosa dentro di me, di questo bisogno ardente di dare fuoco al mondo e di guardarlo bruciare.

Mollo il filo all’istante, ma il potere che continua ad avvolgermi i muscoli sta ancora chiedendo a gran voce di essere liberato, e io so di avere soltanto pochi secondi prima di perderne il controllo. Perlustro il bagno con lo sguardo in cerca di una via d’uscita, ma l’unica è la porta, e intanto sento Hudson nell’altra stanza dire a qualcuno: ?Entra pure. Grace sta uscendo ora dalla doccia, ma…?

Istintivamente, mi tuffo nella vasca e mi rannicchio… nell’istante in cui il mio corpo – o quello che credo sia il mio corpo – esplode. Il boato è assordante, mentre l’elettricità dentro di me si sprigiona in un colpo. L’onda d’urto scuote le pareti, lo specchio va in frantumi e il soffitto cede. L’intonaco sgretolato forma una densa nube di polvere tanto che non vedo più niente.

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