Mentre usciamo tutti in fila dietro di loro, Hudson mi cinge saldamente la vita con un braccio e ci dissolviamo in un batter d’occhio sulle scale che portano alla sua camera. Devo ammettere che qualche volta questa storia del dissolvimento torna davvero utile, soprattutto dal momento che ci muoviamo così in fretta che è praticamente impossibile prendere nota di tutti i danni subiti dalla Katmere Academy nell’assalto. So che prima o poi dovrò guardare, ma in questo momento non credo di essere in vena di vedere quanto gli sgherri di Cyrus sono riusciti a distruggere di questo posto che ormai consideravo la mia casa.
Hudson mi deposita delicatamente in piedi vicino al letto. Perlustra tutta la stanza con lo sguardo, evitando con cura di posare gli occhi su di me. ?Hai bisogno di dormire. Io mi metto sul divano, così non ti disturbo.?
?Disturbarmi? Tu non disturbi mai.? è in piedi di fronte a me, ma in questo momento c’è un abisso che ci divide. ?Hudson, dobbiamo parlare di quello che è successo in infermeria.?
?Non c’è niente di cui parlare?, ribatte cupo. ?Le cose stanno così.?
Gli poso dolcemente una mano sul braccio. ?Mi dispiace talmente tan…?
?Grace, smettila.? Lo dice con tono deciso, ma non è arrabbiato. E non è neppure sconvolto quanto lo sono io.
?Perché ti comporti così?? gli chiedo con tono implorante. Odio sentirmi così insicura. ?Che cosa c’è che non va??
Mi scocca un’occhiata come a dire: Ma parli sul serio? E lo posso capire perché sta andando tutto storto. Però non è una novità. Il problema non siamo noi, è quello che ci circonda. Solo che…
Solo che quando si comporta così, ho la terribile sensazione che, in fin dei conti, forse siamo davvero noi il problema.
No, non mi sta bene, soprattutto dopo quello che abbiamo passato per arrivare sin qui. E di certo non mi sta bene che lui si nasconda in un angolino a leccarsi le ferite anziché condividere le sue preoccupazioni con me.
?Hudson, per favore?, gli dico allungando una mano per toccarlo. ?Non fare così.?
?Così come?? chiede.
Adesso sono io a guardarlo male. E la mia occhiata deve sortire qualche effetto perché lui irrigidisce la mascella e, all’improvviso, mostra un profondo interesse per la parete dietro la mia testa.
?Parla con me?, gli sussurro andandogli sempre più vicino, finché i nostri corpi si sfiorano e respiriamo la stessa aria.
Lui rimane immobile per un secondo, poi fa un deciso passo indietro. E quel gesto mi trafigge come una coltellata. ?Non ho niente da dire.?
?Immagino che ci sia davvero una prima volta per tutto?, scherzo, confidando che abbia una qualche reazione. Nella speranza di riavere con me l’Hudson presuntuoso e sicuro di sé.
A questo punto, finalmente, mi guarda, e io mi sento affogare nell’infinità sterminata dei suoi occhi color dell’oceano.
Guardandolo con maggior attenzione, mi rendo conto che anche lui sta affogando. Ma, per quanto mi sforzi, non mi permetterà mai di gettargli un salvagente.
?Lascia che ti aiuti?, sussurro.
Lui fa una risatina triste. ?Non ho bisogno del tuo aiuto, Grace.?
?E allora di cos’è che hai bisogno?? Mi aggrappo a lui, quasi affondandogli dentro. ?Dimmelo e troverò il modo di dartelo.?
Non risponde, non mi stringe tra le braccia, non muove un passo. E, di colpo, la paura comincia a ruggirmi dentro. Ad artigliarmi disperatamente le viscere nel tentativo di uscire.
Perché questo è un estraneo. Non è il mio Hudson e non so come riportarlo indietro. Non so neppure come trovarlo sotto tutto quel ghiaccio. So soltanto che devo provarci.
Ed è per questo che quando cerca di arretrare di nuovo, lo trattengo. Lo afferro per la camicia, mi stringo a lui, gli occhi incollati nei suoi. E mi rifiuto di lasciarlo andare.
Perché Hudson Vega è mio, e non intendo lasciarlo ai demoni sepolti dentro di lui. Né adesso né mai.
Non so per quanto tempo rimaniamo così, ma all’improvviso sento un nodo allo stomaco. I palmi cominciano a sudarmi. E mi sale un singhiozzo in gola.
Eppure non distolgo lo sguardo. Non lo lascio andare.
E poi succede.
Deglutisce e mi fa scivolare le dita dietro il collo affondandomi una mano nei capelli. Quindi mi strattona la testa all’indietro, gli occhi ancora fissi nei miei, e sussurra: ?Grace?, con una voce così roca e piena d’angoscia che mi irrigidisco per la disperazione. ?Mi dispiace. Non posso… Io non…?
?Va tutto bene?, gli assicuro prendendogli le guance tra le mani per avvicinare il suo viso al mio.